PASTOR, Quattro generazioni fra i fiori recisi

PASTOR, Quattro generazioni fra i fiori recisi

Camminare per il lungo corridoio del Mercato dei Fiori è accorgersi dell’estensione dell’impresa di Roberto Pastor, con dodici posteggi, nove a fiori recisi e tre per piante verdi. Al variopinto succedersi di corolle e petali – e c’è sempre da stupirsi per le varietà presenti, che fanno lontanissimi i tempi del connubio concorrenziale fra garofani e gladioli, e della solo primaverile irruzione delle rose – segue la chiosa pressoché monocromatica delle piante da vaso, di qua lui e la tradizione familiare, subito oltre lei, la moglie, innovatrice e depositaria di finezze di gusto, con il di più della capacità di intuire le tendenze modaiole che non può che giovare all’insieme, e che il marito con un certo compiacimento le riconosce.

Si tratta di un commercio basato su quella peculiarità propria del pure contraddittorio Homo sapiens sapiens che è la ricerca del “bello” fine a se stesso, la sua fruizione a procurare un piacere che nulla ha a che vedere con l’utilitarismo essenziale e spiccio del soddisfacimento dei bisogni elementari. Né si può considerare altrimenti il fatto che si arrivi a spendere per acquistare policromatismi dalle più varie forme destinati a degenerare e perire nell’arco di pochi giorni, e questo in pratica fino dai tempi storici della colonna del Verziere, per arrivare all’attuale sede di via Lombroso attraverso un percorso a tappe che ha conosciuto il posteggio n. 25 del padiglione dei fiori nel Mercato Ortoflorofrutticolo di corso XXII Marzo e la sistemazione autogestita di via Marco Bruto.

Del resto, con il soddisfare parametri del tutto estetici, i fiori seguono e accompagnano, il loro essere effimeri bilanciato da una bellezza che se non fosse propria dello scontato averla sempre veduta dovrebbe essere definita straordinaria. Sono piccoli compagni di brevi tratti di viaggio che, in un mondo saturo di materialismo, riescono a “fare mercato” per continuare a esserci vicini, dalla nascita, con quelli offerti alle ancora stravolte puerpere, alle tappe successive di ogni possibile ricorrenza, fino al tripudio “alto” delle cerimonie nuziali e al sigillo del vivere imposto dal funerale.

«Il più bravo è quello che sbaglia meno» afferma Roberto Pastor, che di questo “fare mercato” ha l’esperienza familiare partita dai nonni e arrivata a una interlocutoria quarta generazione con il figlio, laureato in Economia, la cui presenza è al momento legata al dinamismo informatico e promozionale dei siti con cui l’azienda tiene il passo con i tempi, ma domani chissà.

Con la famiglia Pastor si parte dagli anni Trenta del secolo scorso, con il mercato delle forme, dei colori e dei profumi sotto una tettoia dello storico sito dell’attuale Largo Marinai d’Italia, a ridosso delle forme, dei colori e di qualche sentore di profumo dell’ortofrutta, per una sorta di similia in similibus che dava il senso della ricchezza biologica di un mondo vegetale che sapeva unire all’utile dei frutti edibili il dilettevole delle fioriture recise.

Qua sono arrivati i nonni di Roberto, la prima generazione, con la nonna che già aveva l’esperienza acquisita nel deposito di Vallecrosia, fra Ventimiglia e Sanremo, in un’epoca in cui a Milano i fiori arrivavano come fossero comuni viaggiatori alla Stazione Centrale, ed era un triciclo a pedali il mezzo più diffuso che li portava fino sotto la tettoia del mercato, i furgoni ancora di là da venire.

Il padre di Roberto, seconda generazione, aveva dapprima assistito e poi partecipato, affinandosi, fino al naturale subentro, con la variabile personale del risvolto romantico che ha finito per coinvolgerlo insieme con la sorella, lui a innamorarsi della figlia di un ragioniere che lavorava nell’adiacente area ortofrutta, lei a fare altrettanto con il figlio.

Quello dei mercati è sempre stato un impegno severo per tutti, i tempi “eroici” di eroici disagi a rinnovarsi con i nuovi disagi imposti dai differenti dinamismi, perché nel mondo del commercio quale esso sia non si conoscono soste. Così ecco il padre di Roberto “saltare” fuori di metafora sul treno per andare a Genova a comprare le gardenie, e rientrare la notte, ammaccato di brutto sonno ferroviario, eppure di primo mattino già sul posto di lavoro. Poi il trasporto a evolversi dal ferro alla gomma che consentiva di saltare i passaggi intermedi attraverso i camion, sempre come meta la Riviera di Ponente per le produzioni pregiate dell’Imperiese, cercando il meglio.

«Riuscire a procurarsi cento rose baccara extra è come avere a disposizione una Rolls Royce» soleva dire.

Ma la Riviera dei Fiori stava, forse senza rendersene ancora conto, avviandosi verso il declino dovuto alle importazioni, in particolare quelle dall’Olanda, dapprima frenate dalle pastoie burocratiche da superare alle dogane, ma poi gratificate dalle successive speditezze, a dettare così i tempi della crisi del settore ligure, tulipani e orchidee a prendere piede guadagnando gusti e mercato.

A contribuire nel mettere del tutto in crisi il Ponente Ligure hanno poi provveduto le stesse produzioni nazionali che si offrivano a prezzi concorrenziali. Ad Albenga “tenevano” ancora bene le gerbere, ma i garofani arrivavano dalla Campania, gladioli e calle da Cesena, ancora gladioli e garofani da Viareggio e da Pescia, il tutto per giunta supportato dall’associazionismo delle cooperative sostenute da pubbliche sovvenzioni con le quali i singoli produttori non potevano competere.

Di una tale pressione concorrenziale l’intero compartimento sanremese ha risentito, con le colline una volta argentee di serre a venire con gradualità restituite alle coltivazioni dell’edule, le superstiti a reggere ancora per lo più nel campo del “verde” da appartamento o da giardino, con la produzione del reciso ristretta a prodotti stagionali quali ranuncoli e papaveri.

Né le importazioni si sono fermate al relativamente vicino Nord d’Europa. Quello dei fiori è un ambito in cui il termine “globalizzazione”, altrove abusato, assume significati votati all’obbligo della concretezza. Da qui le bellissime e globalizzate rose coltivate a 4000 metri di altezza in Ecuador, da contendere agli ormai ultra globalizzati russi con le cui disponibilità economiche è sempre difficile dividere il mercato. A seguire sono arrivate le coltivazioni africane, in particolare di Kenya, Etiopia, Zambia e Zimbawe, gestite da altrettanto globalizzati indiani e competitive nei prezzi all’origine per via dei contenuti costi della manodopera.

Ciò conduce alla necessità di trasporti il più possibile rapidi, la scontata deperibilità del prodotto a fare rimpiangere il facile da raggiungere scalo di Linate, sostituito dal più lontano Malpensa, con le variabili insidiose degli scali intermedi non attrezzati allo stoccaggio appropriato di merce tanto delicata, uno per tutti il surriscaldato aeroporto di Miami.

In questo panorama solo in teoria definito visti i sempre possibili sviluppi, è arrivata la terza generazione, con lui, Roberto Pastor, che dopo il servizio militare è entrato in azienda con l’intero Mercato dei Fiori pigiato nella “ridotta” di via Marco Bruto, la sostanziale precarietà della struttura compensata dai vantaggi del lavorare in autogestione.

Il resto è cronaca recente, i suoi dodici posteggi a farne il più grande operatore dell’attuale Mercato e uno dei maggiori della regione. Domandargli quali siano le peculiarità della sua conduzione aziendale è sentirsi elencare punti di forza quali l’offerta di una estesa varietà di prodotto, le adeguate quantità sempre disponibili, la rapidità nella consegna, la possibilità di offrire elaborazioni specifiche come i bouquet, oltre che il rapporto qualità-prezzo, messo per ultimo sì, ma fondamentale, visto che alla fine è difficile incontrare qualcuno che non badi anche all’esborso.

Quanto alla clientela, si va dai negozi, purtroppo sempre meno, agli alberghi, ai ristoranti, alle cerimonie come matrimoni, alle ricorrenze e agli allestimenti per eventi, fino ai mercati rionali, agli ambulanti e ai chioschi, questi ultimi in larga parte ormai gestiti da bengalesi, che sono riusciti a rivitalizzare il settore sostituendo gli originali venditori che dismettevano, dimostrandosi “sul campo”, alla pari dei connazionali impiegati nel settore come dipendenti, capaci, volenterosi e bene integrati.

«Per acquisire un cliente ci vuole tanto, per perderlo basta niente» dice ancora Roberto Pastor, che all’attività d’impresa aggiunge una attenzione etica alle realtà del territorio, quali la donazione di piantine da vaso allo IEO e all’Istituto dei Tumori per utilizzi di ricavo benefico, la donazione di abeti natalizi compresi di addobbi per i bambini malati di tumore ospedalizzati o la fornitura di rose alla Fondazione G. e D. De Marchi per la Giornata Mondiale della Gentilezza. E attestati di ringraziamento per la disponibilità e la generosità dell’azienda Pastor sono arrivati, fra gli altri, anche dall’Accademia di Brera per l’allestimento della sala in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2018/19.

Alla pari degli altri settori del Mercato l’impegno resta severo: si apre alle 5 ed è facile si vada oltre le 14, in un settore che non è stato risparmiato dalla crisi, con la dozzina di operatori rimasti da considerarsi i superstiti dei quaranta che erano stati nei tempi migliori, per giunta collocati a ridosso della Carne, che come soluzione non rappresenta l’ideale e forse a qualcuno può fare a volte rimpiangere l’atmosfera en plein air di via Marco Bruto.

Né mancano nel succedersi e rimescolarsi delle mode i “ritorni”, con i quasi scomparsi garofani e gladioli che si riaffacciano come rivisitazioni di nicchia con nuove colorazioni originali in un “fare mercato” la cui parte cospicua avviene on line anche attraverso l’asta telematica del “chi schiaccia prima prende di più”, e vai a capire come sarà domani; perché, nonostante le crisi che periodicamente si riaffacciano, gli scoraggianti orpelli burocratici e il succedersi delle mode, nella vita costantemente in adeguamento ai tempi dell’uomo un posto per la bellezza assoluta dei fiori non potrà mai mancare.

Giovanni Chiara

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